giovedì 19 gennaio 2012

Fuga (qualcosa come giugno 1985)

al passo deciso dei sonnambuli
 pensare di essere solo, girare attorno al tavolo contando di volta in volta le macchie lasciate sulla tovaglia - con un occhio guardare la lancetta dei secondi sfiorare i minuti o le ore, con l'altro prestare attenzione al buio macchiato della finestra dove ogni notte viene a specchiarsi l'infinita lentezza degli astri
oppure
 cedere al richiamo delle poche note emesse dal serale strumento di tortura - poche e ben truccate, indirizzate con millimetrica precisione nel vuoto religioso assalito da rapsodici miti, vetture di serie e abbronzature promettenti, piatti puliti con felicità domestiche tirate a nuovo da miracolosi bagnoschiuma e nessuna ruga da indossare sotto capi identità perché niente lava meglio di un'offerta vantaggiosa da regalarsi una notte con la donna migliore che ci sia


allo specchio
 credendo ad altro per uscire e trovare la forza di aspettarsi nei passi incessanti, nel rumore che accompagna le parole dei pochi amici di cui non riconosci che deboli segnali, nei loro volti tanto uguali al ricordo che ti accompagna
senza sosta
 nei passi che compi e non ti accorgi che la sera è un'altra sera in cui il vuoto è l'arma mortale che riconosci, ti aspetta paziente sulla soglia dorata dei buoni sentimenti, parole che ti cercano accarezzando le orecchie sempre ben disposte al rito serale della confessione di fatti  e persone coinvolte dai fatti
cercando qualcosa
 dove tanto brulicare ti lascia senza fiato e non sempre riconosci la sottile traccia della verità o l'impronta lasciata dal giorno consumato, nei magri ritornelli degli sguardi di ogni persona incontrata per caso o volutamente cercata per assaporare la delicata mistura dei sentimenti e costringerti a guardare oltre la linea infuocata del desiderio immediato
qualcosa di invisibile
 sovente giocato dalla facilità con cui è possibile abbandonarsi ai fini più estranei e tanto insidiosi da non comprendere la precisione con cui rispetti le regole di un falso risveglio e le meccaniche conseguenze ogni volta accettate senza possibilità di sbagliare tanto si è abituati a sorridere o piangere al comando di altri occhi e volti riproposti da parole forzate che ti attaccano da ogni lato e solo brandelli lasciano e disordine
perché c'è
 un futuro del quale premunirsi rispettando i confini delle braccia aperte sul lavoro incessante che accumula beni di cui disfarsi e costruisce, progettando, il divenire dei gesti e delle azioni
fra i fili di piombo
 solo pensieri incanalati e tanto coriacei da non temere l'incertezza che accompagna l'istante successivo alla felicità o tristezza di cui disfarsi è più difficile perché non sempre è possibile credere che tutto si aggiusterà per la legge psicologica della compensazione o le lacrime di Eraclito che ti mostrano come sia possibile scendere per salire o coprirsi di fango per purificarsi da lubrico sapore che a volte avverti nella voce silenziosa che pure ti parla e senti nel chiudere le palpebre sul giorno trascorso e mai finito
dei ricordi
 segni che la memoria conserva per guidarti ad ogni passo successivo e certamente estraneo ai violenti miraggi della follia di cui ti ubriachi nei pochi istanti di autentica visione
un piccolo
 tanto minuscolo da giocare fra le linee vibranti dei cristalli e precipitare nei vortici ribollenti della materia dove l'apparente staticità delle cose si manifesta nell'impossibilità di afferrarne i continui e così rapidi cambiamenti
io
 guardo da vicino i rosei limiti dei sensi per riconoscerli nell'aurea prospettiva della comprensione - in ogni caso non crediate che tutto ciò sia superfluo -  oziosaggini sbadiglianti in un cielo così azzurro da essere smaltato dall'incredibile tintore della soggettività umana
che
 invisibile agli occhi verdeggianti dell'umano buon senso vede esseri tutti uguali scambiarsi saluti e occhiate di trentadue tipi per potersi riconoscere e capire che tant'è e sapersi regolare sull'esatta misura da assegnare al limite inseguito del soggetto con l'oggetto -  già trovato fra i sandali laceri di un povero animale mai dischiuso al buio paradiso della memoria
che non sa
al tramontare del sole
ciò che l'attende
nell'inevitabile
succedersi
delle cose
e presi a sognarlo...

Nessun commento:

Posta un commento